I processi cognitivi comprendono tutte quelle azioni attraverso le quali riusciamo ad interagire con l’ambiente esterno, capendo e imparando durante le varie tappe della nostra vita relazionandoci con le altre persone. Sono alla base del funzionamento della mente umana e ne possiamo identificare 11: consapevolezza, intelligenza, percezione, intuizione, pensiero, memoria, attenzione, conoscenza, riconoscimento, abilità, comprensione. Tra gli altri processi cognitivi, l’attenzione, la memoria e la velocità di pensiero sono influenzabili positivamente dal sistema nervoso simpatico in quanto, essendo il sistema eccitatorio per eccellenza (il sistema che ci tiene svegli, il sistema della reazione “fight or flight”) esercita la sua azione mediante neurotrasmettitori specifici (adrenalina, noradrenalina e dopamina) che possono essere rilasciati o anche mimati da sostanze naturali quali la caffeina (o altre sostanze ad esempio farmaceutiche quali il clembuterolo). Queste si “legano” ai relativi recettori che, interagendo, sviluppano un’azione caratteristica.
Da questa spiegazione è facile intuire come il consumo di caffeina per migliorare le prestazioni atletiche e cognitive, è ormai prassi consolidata. Deve essere comunque consumata con parsimonia in quanto, come per tutte le molecole, anche per la caffeina è stata quantificata la dose letale; (1/2 della dose letale= LD50) che nell’uomo si aggira intorno a 150mg/kg di peso corporeo (1 tazzina di caffè contiene circa 60/80mg di caffeina). L’attività stimolante di queste sostanze interagisce positivamente sulla zona ippocampale del sistema limbico (centro del sistema emozionale) che è deputata allo stoccaggio della memoria e proprio l’adrenalina esercita un effetto potenziante. Un evento accompagnato da una forte reazione emotiva, infatti, viene ricordato più facilmente e più a lungo. Questo è dovuto proprio all’azione facilitante del neurotrasmettitore in questione. Però, se da un lato favorisce la memorizzazione di una nuova informazione, un’ipersecrezione di questa può indurre il cosiddetto “blocco mentale” all’accesso di informazione già memorizzate (soprattutto se derivante da uno evento che percepiamo come ad esempio pauroso: ansia da esame).
La cosa affascinante è che la dinamica che avviene con queste sostanze che stimolano il sistema nervoso simpatico e i suoi neurotrasmettitori, è la stessa promossa da un allenamento strutturato basato sull’alta intensità. Il problema è che mai a nessuno capita di mettersi a studiare o a lavorare subito dopo un esercizio intenso. Di solito, chi si allena lo fa la sera tardi al temine del lavoro oppure la mattina quando, allenandosi in maniera blanda, non ottiene i massimi benefici che ne può trarre. Molto spesso poi ci si allena solamente per ottenere risvolti estetici ignorando i risvolti ormonali favorevoli che si creano a livello cerebrale.
Condizione necessaria affinché si abbia il medesimo effetto eccitatorio che non produca però eccesso di “ormoni stressogeni” è che l’allenamento non deve essere estenuante (basandosi sulla scala di Borg di fatica percepita da 1 a 10 direi un 8) e di eccessiva durata ma breve ed entro il tempo fisiologico (circa 20-40’). Gli esercizi intensi possono essere rappresentati da sovraccarichi o anche da macchine cardiofitness in base anche da quello che desideriamo ottenere dall’allenamento in termini di dimagrimento o massa muscolare. Da contorno ad allenamenti di questo genere ci sono poi svariati esercizi che concorrono a migliorare e a creare nuove sinapsi cerebrali aumentando l’efficienza dei processi cognitivi.
Tenendo a mente questi parametri sarà possibile potenziare capacità mnestiche, attenzione e velocità di pensiero. L’effetto che adrenalina e noradrenalina svolgono sulla concentrazione è anche ampiamente ricercato in coloro affetti da ADD/ADHD (disturbo da deficit di attenzione\iperattività) e sostanze psicostimolanti come il Ritalin/Concerta (metilfenidato) e la Dexedrina (dextroanfetammine), sono prescritte proprio per l’aumento dei livelli di noradrenalina e di dopamina.
Sappiamo infine che l’impiego nella sindrome depressiva di inibitori di riassorbimento della serotonina e della noradrenalina (SNRIs) è molto diffuso. Molti sono infatti gli antidepressivi che trattano la patologia aumentando la quantità di serotonina e noradrenalina disponibili a livello cerebrale. Si hanno prove che il trasportatore della noradrenalina trasporta anche la dopamina, con l’effetto che i SNRI possono anche aumentare la trasmissione di dopamina. Se infatti il trasportatore di noradrenalina normalmente “acquista” anche un po’ di dopamina, allora i SNRI miglioreranno la trasmissione dopaminergica. Pertanto, gli effetti antidepressivi associati ai crescenti livelli di noradrenalina sono anche in parte o largamente dovuti al concomitante aumento della dopamina (particolarmente nella corteccia prefrontale.
Refrenze:
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